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Sezioni Unite: la condotta agevolatrice dell’attività mafiosa ha natura soggettiva

Mar 30 2020


La Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 8545 del 19 dicembre 2019 (depositata il 3 marzo 2020) è stata chiamata a pronunciarsi sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa prevista dall’art. 7 del D.L. n. 152/91 ed oggi trasfusa nell’art. 416-bis 1 cod. pen.

Tenuto conto degli opposti orientamenti giurisprudenziali sul tema, alle Sezioni Unite è stato posto il quesito di diritto se l’aggravante dell’agevolazione mafiosa abbia natura oggettiva concernendo le modalità dell’azione ovvero abbia natura soggettiva riguardando la direzione della volontà.

La Suprema Corte di Cassazione, dopo aver analizzato i vari orientamenti e le ragioni ad essi sottese, ha affermato che l’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa prevista dall’art. 416-bis 1 cod. pen. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale.

È il dato testuale, secondo le Sezioni Unite, che impone la qualificazione dell’aggravante nell’ambito di quelle di natura soggettiva inerenti i motivi a delinquere.

Orbene, leggendo la motivazione della sentenza si evince che l'agente deve decidere di porre in essere “[…] l'attività illecita nella convinzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa: è necessario però, affinché il reato non sia privo di offensività, che tale rappresentazione si fondi su elementi concreti, inerenti, in via principale, all'esistenza di un gruppo associativo avente le caratteristiche di cui all'art. 416- bis cod. pen. ed alla effettiva possibilità che l'azione illecita si inscriva nelle possibili utilità, anche non essenziali al fine del raggiungimento dello scopo di tale compagine, secondo la valutazione del soggetto agente, non necessariamente coordinata con i componenti dell'associazione”.

É dunque necessario che la volizione che caratterizza l’attività illecita ed agevolatrice possa assumere un minimo di concretezza anche solo attraverso una valutazione autonoma dell’agente.

La presenza di una pluralità di motivi, hanno poi sottolineato i Giudici di Piazza Cavour, è possibile ma ciò che è essenziale, ai fini della configurazione della norma, è la volizione da parte dell'agente, tra i motivi della sua condotta, della finalità considerata dalla norma (nel caso di specie l’agevolazione dell’attività mafiosa) (cfr., Cass. Pen., Sez. Sez. 3, n. 27112 del 19/02/2015).

Gli Ermellini si sono infine soffermati anche sull’ipotesi di un reato concorsuale: in tal caso, l’aggravante di cui all’art. 416-bis 1 cod. pen. si applica “al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell'altrui finalità”.

In tal senso le Sezioni Unite evidenziano come “[…] qualora si rinvengano elementi di fatto suscettibili di dimostrare che l'intento dell'agente sia stato riconosciuto dal concorrente, e tale consapevolezza non lo abbia dissuaso dalla collaborazione, non vi è ragione per escludere l'estensione della sua applicazione, posto che lo specifico motivo a delinquere viene in tal modo reso oggettivo, sulla base degli specifici elementi rivelatori che, per quanto detto, devono accompagnarne la configurazione, per assicurare il rispetto del principio di offensività”.

Ad una simile conclusione la Suprema Corte di Cassazione perviene sulla base del disposto di cui all’art. 59, secondo comma, cod. pen. (che attribuisce all'autore del reato gli effetti delle circostanze aggravanti da lui conosciute) e sulla base della giurisprudenza di legittimità che ha operato una simile estensione anche in tema di premeditazione e dell’aggravante dei motivi abietti o futili (si veda rispettivamente, ex multis, Cass. Pen., Sez. VI, 21/09/17, n. 56956 e Cass. Pen., Sez. I, 10/07/2018, n. 50405).

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